A Positano ancora ci si dedica e si tramanda questa antica tradizione, contro la labile persistenza di un lavoro di manodopera e costanza
16 marzo 2021, di Saveria Fiore. Foto di Vito Fusco
“Le dita agili delle bimbe che lavorano con centinaia di rocchetti fanno venire le vertigini, ma esse alzano la testa tranquille, e ridono e chiacchierano come se non avessero la minima consapevolezza delle loro magiche dita. Alcuni lavori sono di incredibile bellezza. Ho visto una tovaglia, una tela di ragno intricata come un pensiero. Cinquanta ragazze ci avevano lavorato per un anno.” John Steinbeck, scrittore e assiduo frequentatore e amante di Positano, dipinge in maniera impeccabile quella che è l’arte del tombolo in questo dolce scrigno di tradizioni tramandate.
La trama dell’ispirazione
Mille fili si incontrano. A piccoli passi di danza saltano gli uni sugli altri. Si abbracciano, poi si strozzano in nodi. Si incamminano verso una metamorfosi. Senza saperlo sono, improvvisamente, disegni partoriti dall’ispirazione elegante di una donna. No, non sono le Parche che tessono le fila del destino, ma le donne che custodiscono il talento del Tombolo. Un cartone applicato su di un cuscino di forma cilindrica (anch’esso chiamato tombolo). Un disegno puntinato su cui applicare in seguito gli spilli, e innumerevoli fuselli da intrecciare (da pochi numeri a centinaia, a seconda del ricamo da riprodurre).
Un quadro incorniciato dalla paziente abilità di donne che sembrano avere la predisposizione di chi suona uno strumento e incanta chi riceve le sue note. Il tombolo è una melodia silente, minuziosa, un’arte antica, che tutt’oggi non trova una sua collocazione ben precisa, né in senso fisico, né temporale.
Da paese a paese
Contesa tra Germania, Francia, Italia e Fiandre, sembra che i primitivi fuselli in osso fossero stati ritrovati già in tombe etrusche. Una pratica nata inizialmente in seno all’aristocrazia, il tombolo ha avuto presto diffusione anche tra le classi meno agiate, pur con l’utilizzo di strumenti più rudimentali ( si parla appunto di fuselli ricavati da ossa di animali e lische di pesce utilizzate come spilli).
Eppure, l’Italia sembra rivendicarne i natali, con le prime testimonianze scritte che risalgono al 1400 e che ne testimoniano la diffusione tra le popolazioni italiane. A Napoli la più florida produzione sembra avere la sua primavera proprio sotto il periodo aragonese. Ad ogni modo, anche sotto i Borboni, questa pratica era motivo di vanto artistico.
Il mater munus dell’arte che non passa mai di moda
Soprattutto nel meridione, questo fossile di bellezza rara riesce ad arrivare intatto fino a noi, anche dopo i processi di industrializzazione. L’anima del tombolo vive proprio nella natura ingarbugliata e romantica della sua realizzazione manuale, nell’eredità di madre a figlia.
Senza contare che, per la donna dell’epoca, tale preziosa manodopera significava possibilità di guadagno, sia per la casa che per se stessa. I merletti realizzati col tombolo erano, infatti, un apprezzato ornamento che abbelliva le delicate vesti delle donne, ma anche una componente necessaria nel corredo delle venture spose, rappresentando quella che era la loro dote.
La tradizione partenopea
In Campania, in molti paesi dell’Irpinia e del salernitano quest’attività è ancora viva. Positano, per esempio, tra il 1800 e il 1900, era già nota per la produzione della seta e del canovaccio: la classica tela di juta dei sacchi.
Tuttavia, si distingue per l’arte del merletto e del ricamo tra il 1945-1950, grazie alle suore della Carità, o Vincenziane ( perchè presero a modello San Vincenzo de Paoli), che negli anni ‘50 avviarono le bambine alla lavorazione del merletto. Anche quando l’industrializzazione incalza e le suore vengono trasferite altrove, questa tecnica prosegue il suo matrimonio tra le generazioni, all’interno dei nuclei familiari, nelle botteghe artigianali.
Positano: sopravvivenze e testimonianze
L’Arte del Tombolo è stata più volte proposta come candidata ai beni del Patrimonio immateriale dell’UNESCO. Divulgare la tecnica, nel Bel Paese già ricco di tradizioni, equivale a un compito di evangelizzazione, lo stesso che ci riconduce alle Suore della Carità, come un serpente che si morde la coda. Un cerchio che ha bisogno di tenacia per non essere spezzato.
È la tenacia dimostrata da Maria Cinque, 60 anni, di Positano. Maria porta avanti questa passione da quando era una bambina di sei o sette anni. Oggi la tramanda all’interno di un circolo locale di volenterose apprendiste (tra cui le affezionate Maria Arpino e Rosalba Satriano), alla giovane figlia e ai piccoli nipotini, i quali percepiscono tutto il sentimento della nonna. «Sinistra, sinistra, centro», ripete il nipotino per memorizzare il punto tela. Fino a quando la pandemia in corso non ha interrotto gli incontri, un gruppo ristretto di persone ancora si riuniva.
Il valore economico del ricamo
Maria ha iniziato il suo percorso dalle anziane signorine Talamo. La più adulta aveva già 90 anni e ancora l’energia viva di trasmettere, come per infusione, quest’atto di amorevole pazienza. Poi ha proseguito con Suor Angela, a soli 12 anni (prima era consuetudine che le bambine dalle suore imparassero a cucire e ricamare).
Lo stesso Eduardo de Filippo e suo fratello venivano spesso a comperare centrini dalle suore, dimostrando di apprezzare un lavoro che solo menti sensibili possono comprendere davvero. Non a caso Maria confessa di non aver mai guadagnato da tale attività, ma di aver sempre preferito regalare i suoi lavori. «La gran parte delle persone – specialmente oggi – non comprenderebbe il reale valore economico per un simile lavoro di minuziosa manodopera», ci dice Maria
La trasmissione di una passione
Non sapeva che sarebbe finita per diventare così abile e per insegnarlo a sua volta. «La soddisfazione più grande è riuscire a tirar fuori dalle mie allieve lo stesso amore che mi guida, ogni volta, nell’esecuzione del tombolo», racconta Maria augurandosi per il futuro che possano essere reinseriti all’interno delle scuole i laboratori pratici che includevano anche le lezioni di Tombolo.
Con immensa umiltà mostra uno dei suoi lavori più elaborati, che l’ha tenuta impegnata, giorno per giorno, dal mese di gennaio fino ad agosto: un centrino (adesso incorniciato) fatto di intrecci che sembrano versi di una poesia. La compositrice di questa poesia è Maria, che insieme alle altre donne continuano questi ricami, linfa vitale per l’arte del Tombolo. Grazie a Maria sentiremo ancora nell’aria il flebile ticchettio dei fuselli che si dimenano nel prestigioso gioco di dita.