E’ uno degli edifici più interessanti di architettura e decorazione del diciottesimo secolo. Al suo interno una serie di dipinti illustra l’allegoria dei sentimenti: dai più nobili a quelli più violenti
13 giugno 2023, di Alfonso Mammato*, foto di Salvatore Guadagno
Nel cuore della Costa d’Amalfi, lungo il corso principale della Città di Maiori, sorge uno degli edifici più intriganti e significativi dell’intera area, il Palazzo Mezzacapo: uno dei più splendidi esempi di architettura e decorazione del diciottesimo secolo. Oggi sede della biblioteca comunale, del laboratorio culturale e di alcuni uffici del comune.
I giardini interni di Palazzo Mezzacapo a Maiori
I giardini interni sono unici nel loro genere. Dalla curiosa forma a Croce di Malta, dai violetti a roseto ci si affaccia su grosse vasche interrate, tutte comunicanti, percorse da una diramazione del Reginna: un bizzarro stratagemma per godere un po’ di frescura durante i mesi estivi.
Una delle prime testimonianze riguardanti il palazzo e i giardini sono fornite da un illustre scrittore e viaggiatore britannico settecentesco, Lord Henry Swinburne. A settembre 1777 lo scrittore aveva intrapreso un viaggio verso Salerno. Risalendo per Cava, aveva raggiunto il santuario dell’Avvocata e discese verso Maiori. Qui descrive, nel suo libro Travel in Two Sicilies: “Fui ammesso in un giardino appartenente ad un signore adesso in viaggio che io ammirai con gran piacere per quanto esso era adornato in uno stile felicemente adatto alla posizione e al clima. Il palazzo è pulito e arieggiato e i giardini sono tagliati da canali d’acqua limpida, ciascuno dei quali crea forti corsi d’acqua tra ricchi e profumati giardinetti oppure di cascate attraverso grotte di conchiglie lavorate e ombreggiati pergolati.”
Alla corte dei Mezzacapo
Una volta entrati nella corte interna, incontriamo due scaloni che conducono al piano superiore. Le strutture, gli arredi e molte tele “costaiole” sono ben conservati, ma la vera attrazione è il salone del consiglio comunale, meravigliosamente affrescato da un ciclo pittorico probabilmente realizzato nel 1784 in seguito alle nozze tra la famiglia Mezzacapo e Pepoli.
L’opera affrescata, dipinta (forse) dal pittore Luciano Rachele, rappresenta un’allegoria nunziale di buon auspicio per il matrimonio tra le due famiglie.La storia di un amore coniugale: Dei, eroi, nobiltà e famiglia
Il ciclo Vittorico affrescato si compone di una parte di quadratura dipinta ad illusione e dall’altra con figure decorative e altre che raccontano la storia di questa vocazione nunziale. Una giovane donna, bionda, vestita di panni semplici illuminata da un sole raggiante tiene aperto un libro simbolo della riconoscenza che governa la sfera del mondo. Il ciclo decorativo prevede quattro angoli con quattro divinità differenti: Zeus, Atena, Poseidone e Mercurio.
La storia dell’affresco al centro, è semplice, ma efficace. Nell’affresco centrale, e principale, viene raffigurato Apollo che dà un segnale preciso ad Aurora: è arrivato il momento di far sorgere il sole che porti il buon auspicio sulle nozze che stanno per avvenire o sono accadute. Sotto di loro ci sono i due sposi, idealmente rappresentati da un’allegoria femminile e da un’allegoria maschile, che sono congiunti in matrimonio da una metafora del legame matrimoniale, che identifica una corda, simbolo dell’unione.
Tutt’attorno è un concetto di putti e figure allegoriche, come ad esempio quella probabile del fiume Reginna, raffigurata da un uomo che sversa un otre, e rimandi alla Costiera Amalfitana, che include la presenza del corallo, delle sirene che giocano con i putti e una serie di altri riferimenti marinareschi.
Le 4 stagioni e il rito nuziale
Invitati speciali a questo matrimonio così importante, ci sono le 4 stagioni. La primavera, la protagonista, perché è la stagione dell’amore che si rinnova, è rappresentata da una giovane donna distesa che suona uno zufolo che osserva il rito celebrativo. Sotto la metafora della primavera, dei puttini rappresentano l’inverno, l’autunno e l’estate. L’allegoria femminile nunziale è simboleggiata dal pavone, antico simbolo di castità della virtù femminile. L’uomo mostra quello che sembra essere un colombo incendiato da una fiamma che parte dal polso, forse è un riferimento ai doveri dell’uomo all’interno del matrimonio.
Sacro e profano
Per contraltare gli auspici di questo matrimonio sono stati raffigurate quattro storie di amori pagani, dal finale infelice. In questi riquadri, infatti, il tema dell’amore viene illustrato nei suoi aspetti di sofferenza. L’officina di Efesto, in cui il mastro decise di uscire per abbracciare la moglie Venere che però lo scansa, ansiosa di congiungersi con Marte.
La storia impossibile dell’amore di Diana ed Endimione, un giovane di rara bellezza, che ha rinunciato alla sua vita per un sonno notturno eterno sul quale la dea della Luna, perdutamente innamorata di lui veglia. Quest’ultima rappresenta l’allegoria dell’elevazione spirituale dalla condizione umana verso quella divina.
La storia forse meno riconoscibile è quella di Borea, Dio del vento freddo, che rapisce la principessa Orizia dopo le ripetute respinte amorose. In questo caso si tratta dell’amor violento. Infine, la storia, forse più conosciuta, di Apollo e Dafne, narrata nella metamorfosi di Ovidio che rappresenta l’allegoria della castità. La bella Dafne, per sfuggire alle insidie amorose di Apollo, chiese al padre, il Dio fluviale Adone, di essere trasformata in albero di alloro.
L’eroismo femminile
Sulla sovrapporta del salone è stata dipinta la narrazione dell’amore spirituale e morale, un racconto che si sviluppa in tre storie riprese dalla Gerusalemme liberata di Tasso. C’è la scena dove Clorinda libera Olindo e Sofronia, Erminia che riposa sulla riva del Giordano e Clorinda che difende Tancredi nella battaglia di Gerusalemme.
La selezione dei tre episodi non è casuale. Dalla loro astrazione emerge non solo il tema dell’amore inconfessato, timido e romanticamente drammatico, ma soprattutto il protagonismo delle donne nel loro eroismo e nel loro slancio generoso. La scelta di inserire tre episodi della Gerusalemme liberata accentua la dimensione idillica della cultura dell’epoca, collegandosi con la restante decorazione di stampo mitologico-allegorico del salone.
*Alfonso Mammato, è uno studente dell’Istituto tecnico economico per il turismo Marini – Gioia ad Amalfi, che ha partecipato lo scorso anno a un concorso per giovani autori promosso da Authentic Amalfi Coast.