Quali sono i piatti del Carnevale in Costa d’Amalfi? Il re della tradizione è il migliaccio praianese, che si affianca a pietanze più note come la lasagna napoletana e le chiacchiere.
12 febbraio 2024, di Annamaria Parlato
Le origini del Carnevale risalgono a tempi remoti e hanno radici in diverse culture. Il termine “Carnevale” deriva dal latino “carnem levare” che significa letteralmente “rimuovere la carne”. Questo si riferisce al periodo di festeggiamenti che precede la Quaresima, durante la quale le persone si preparavano a digiunare e astenersi da carne e cibi ricchi. Le celebrazioni del Carnevale hanno radici pagane e sono spesso associate a festività precedenti al cristianesimo. In molte società anticamente le persone accoglievano allegramente l’arrivo della primavera con momenti giocosi che includevano maschere, travestimenti, canti e danze. Queste celebrazioni avevano lo scopo di scacciare gli spiriti maligni e di festeggiare la rinascita della natura. Durante il Medioevo, il Carnevale divenne un periodo di sfrenato divertimento prima del periodo di astinenza e penitenza quaresimale, usanza che si è protratta sino ai giorni nostri. La tavola del Martedì Grasso può includere una varietà di piatti, spesso caratterizzati da ingredienti ricchi, carne, dolci elaborati e bevande alcoliche. Le scelte culinarie possono variare a seconda delle tradizioni locali e culturali. Da Vietri sul Mare a Positano, anche la Costiera Amalfitana non è immune dai colori e dalla baldoria tipica di questo momento, che dura anche più di una settimana, tra particolari sfilate in maschera con carri allegorici e preparazioni di pietanze tipiche.
Il migliaccio praianese
Il migliaccio è una squisito dolce di Carnevale, oggi realizzato con ricotta, essenze di agrumi (limone-arancia), semola, vaniglia e uova. A differenza di Napoli e dintorni in cui si consuma la versione dolce, a Praiano c’è l’usanza di riciclare assieme alla polenta anche gli insaccati ottenuti dal maiale durante l’inverno, che nelle versioni tradizionali erano affumicati con le essenze delle erbe della macchia mediterranea e conservati in barattoli sotto la sugna. La semola un tempo si ricavava dalla macinazione a pietra di grani antichi nei mulini di Praiano. Oggi il migliaccio salato a base di semolone è il piatto tipico del Carnevale praianese. Al semolone si aggiungono fiordilatte, salsiccia semisecca, pasta mista, parmigiano, sugna e uova. Assemblati tutti gli ingredienti si passa alla cottura in forno e poi, una volta sfornato, il migliaccio ancora caldo va servito a fette spesse.
Per dare un sapore costiero al vostro carnevale, ecco la ricetta ufficiale del migliaccio praianese tratta dal libro “La memoria nell’immagine – Praiano viaggio nel passato” dello storico Giovanni Scala, fornita dall’Associazione Pelagos.
Il migliaccio (Tipico piatto praianese di carnevale):
Ingredienti: 400g di ziti lunghi, 200g di mafaldine o trinette, 100g di semolone, 3 cucchiai di sugna, 6 uova, 600g di mozzarella o caciocavallo fresco, 200g di caciotta di pecora o pecorino grattato, 600 di salsiccia affumicata, pepe, cannella e sale.
Mettere la pentola sul fuoco con cinque litri di acqua e sale q.b. e mentre arriva all’ebollizione preparare a parte in una terrina sei uova sbattute, il formaggio grattato, un poco di pepe e un pizzico di cannella, mescolare il tutto e mettere da parte.
Appena l’acqua viene a ebollizione, fate lessare la pasta a metà e scolare parte dell’acqua, rimettere la pentola sul fuoco con la pasta nell’acqua rimasta, versare la semola molto lentamente per evitare il formarsi di grumi, aggiungere 1 cucchiaio di sugna e girare con un mestolo di legno.
Quasi a cottura avvenuta della pasta e semola, spegnere il fuoco e finito il bollore versare nella pentola il contenuto della terrina e mescolare il tutto per un minuto.
Preparare una teglia abbastanza grande, preferibilmente col fondo che non attacca, (anticamente si usava la teglia di rame zincata internamente) spalmare 1 cucchiaio di sugna.
Versare la metà della pasta nella teglia già preparata e spianarla in modo uniforme, sistemarci le fette di mozzarelle o caciocavallo, la salsiccia sbriciolata, una manciata di pecorino e coprire il tutto col restante impasto, spianandolo bene sopra.
Ad opera compiuta mettere la teglia sul fuoco e far friggere a fuoco lento e di tanto in tanto muoverla in modo da far formare una crosta dorata.
Prepararsi un coperchio o un piatto piano più grande del diametro della teglia, poggiarlo sulla teglia e capovolgere “il migliaccio”. Subito dopo farlo scivolare capovolto nella teglia dove è stato messo ancora un pò di sugna e farlo cuocere dall’altro lato.
Terminata la cottura e la doratura, farlo riposare un poco, tagliarlo a spicchi e servire (su questo piatto ci sono delle varianti come per la pasta, c’è chi usa solo gli spaghetti con molta semola, mettendo delle uova in più, alla fine ogni famiglia ha una ricetta sua e ognuno dice: “come lo faccio io non lo fa nessuno”).
Tratto dal libro “La memoria nell’immagine – Praiano viaggio nel passato” dello storico praianese Giovanni Scala (1940-2019)
La lasagna alla napoletana
Una delle ragioni della popolarità della lasagna è la sua versatilità. Può essere preparata in molte varianti, con diversi tipi di carne, salse, formaggi e strati di pasta, adattandosi ai gusti regionali e personali. La lasagna è diventata un classico intramontabile della cucina italiana e continua ad essere amata in tutto il mondo. La sua storia è intrinsecamente legata all’evoluzione della cucina nel corso dei secoli e alla creatività delle famiglie e degli chef che l’hanno preparata e reinterpretata nel corso del tempo. Già Apicio parlava di “laganon o laganum”, ossia le legane, antenate della lasagna spesso realizzate con farina di farro che venivano cotte direttamente sul fuoco. La lasagna napoletana si distingue da quella emiliana, per avere la sfoglia bianca e non verde agli spinaci e per la presenza della ricotta al posto della besciamella nell’interno. Nel ripieno poi sono presenti le salsicce, il fiordilatte, le polpettine e a piacere uovo sodo, salame napoletano o piselli. Queste lasagne sono identificative del particolare momento di festa e in ogni casa che si rispetti vengono sfornate in grosse teglie che invadono di profumi le case e le strade di ogni comune costiero. Anticamente quando non c’era abbondanza di ingredienti si utilizzava consumare una semplice pasta al forno condita con pomodoro, mozzarella e qualche salume, anche nella variante bianca, una sorta di pizza di maccheroni all’uso pasquale.
Il trionfo del maiale: gelatina, polpette e sanguinaccio
Il maiale è una fonte comune di carne durante il Carnevale in molte culture. Questo animale fornisce una varietà di tagli di carne che possono essere utilizzati in diverse preparazioni culinarie. Inoltre, la tradizione di consumare carne di maiale potrebbe essere radicata nella cultura contadina e nelle pratiche di macellazione che avvenivano tradizionalmente in inverno. La gelatina di maiale in dialetto “Ilatina ‘r puorcu” era una pietanza che serviva a riciclare le parti meno nobili dell’animale ricche di cartilagine che rilasciavano il loro collagene durante la bollitura tanto da formare una sostanza densa e collosa. Questa gelatina si solidificava raffreddandosi e si aromatizzava con foglie di alloro, pinoli e pepe in grani o peperoncino. In Costiera non mancava la scorza di agrumi e qualche spezia. Altra pietanza tipica del Carnevale è un fumante piatto di polpette di macinato di maiale. Dorate e invitanti sono protagoniste del ripieno della lasagna in dimensioni ridotte ma diventano anche il secondo piatto per eccellenza sia in bianco che al sugo. Infine il sanguinaccio, realizzato anticamente col sangue di maiale sia nella variante rustica che salata diventa un altro piatto identificativo del Carnevale. Quello rustico prima si vendeva per strada, racchiuso nel suo budello e quello dolce si univa al cioccolato, ai pistacchi o pinoli, al latte, alla frutta candita ed ai pezzetti di pan di spagna. Dal 1992 per legge è stato abolito l’uso del sangue di maiale nella preparazione di questo piatto regionale, per motivi di igiene. Così è diventato una vera e propria crema di cioccolato, densa e ricca di aromi, che si consuma in monoporzioni, assieme alle chiacchiere o alle castagnole.
Le chiacchiere e frittelle al limone
Le chiacchiere, conosciute anche con altri nomi come frappe, bugie, cenci o galani a seconda delle regioni italiane, sono dolci croccanti fritti simili a dei nastri spolverati di zucchero a velo. La base comune è costituita da una pasta fritta, che può contenere ingredienti come farina, uova, burro o sugna, vino bianco o marsala. Le origini risalgono ai Saturnali dei Romani, molto simili al Carnevale odierno. Nell’antica Urbe venivano allestiti banchetti simili a feste popolari, in cui tutti i canoni sociali venivano annullati. Le frictilia erano il simbolo di questa festa, dolci fritti nel grasso di maiale, elargiti alla folla fra le strade della città. In Costiera Amalfitana tra Minori e Amalfi le pasticcerie sono solite proporle anche in diverse varianti e forme, ripiene di creme o aromatizzate con liquori locali o arricchite da zeste di agrumi come arancia e limone sfusato amalfitano, tipico del territorio. Assieme alle chiacchiere nel vassoio dei dolci si inseriscono anche zeppole di patate, frittelle insaporite con zucchero e scorza di limone e castagnole, rotonde palline fritte apprezzate per la loro consistenza soffice all’interno e croccante all’esterno.